A seguito dell’emergenza per il nuovo coronavirus Covid-19 e della psicosi che si è scatenata, sono numerose le segnalazioni che arrivano dai luoghi di lavoro per comportamenti da parte di aziende a volte non solo arbitrari, ma che rischiano anche di avere un impatto negativo su lavoratori e lavoratrici.
È necessario che delegati sindacali, Rls e Rls-t monitorino le situazioni per meglio intervenire su eventuali “abusi” che potrebbero emergere da procedure senza alcuna valenza tecnico scientifica e non previste dalle diverse procedure emanate in questo periodo dalle istituzioni competenti.
Sono infatti arrivate segnalazioni riguardanti responsabili aziendali che verificavano la temperatura di lavoratori e lavoratrici all’ingresso del luogo di lavoro e, in modo del tutto “discrezionale”, decidevano se il lavoratore o la lavoratrice poteva accedere al lavoro oppure doveva essere rimandato a casa.
È evidente come tale pratica sia priva di ogni fondamento tecnico-scientifico e normativo, visto che lo strumento utilizzato (presumibilmente, un termometro laser) non è chiaro se sia certificato per tale scopo, ma soprattutto il soggetto che ha praticato la misurazione della temperatura ai lavoratori non risulta essere un sanitario qualificato e abilitato a tale pratica, pratica scollegata da quanto imposto dalle normative al datore di lavoro.
A tal proposito, l’articolo 271 del D.Lgs. 81/2008, prevede la valutazione del “rischio biologico”: pertanto le azioni di prevenzione dovevano già essere individuate a prescindere dal Covid19.
Tuttavia, trattandosi di una situazione emergenziale, è utile ricordare come l’articolo 18 comma 1 lett. B dello stesso D.Lgs. 81/2008 preveda come obbligo del datore di lavoro la prevenzione e gestione delle emergenze (documentata e validata).
Inoltre, trattandosi di rischi per la salute, diventa fondamentale la valutazione e la posizione del medico competente, così come imposto dall’articolo 25 comma 1 lett. A, in quanto collaboratore del datore di lavoro.
Invece, in diversi casi segnalati, il medico è intervenuto semplicemente imponendo a lavoratori e lavoratrici di compilare un questionario, con l’acquisizione di dati sulla vita privata e frequentazioni del lavoratore – violando la normativa sulla privacy – che nulla avevano di scientifico, ma con una forte valenza intimidatoria, dato che, non rilasciando tali dichiarazioni, il lavoratore o la lavoratrice rischiava di non poter accedere al lavoro.
L’obbligo da parte del datore di lavoro di astenersi dal raccogliere tali dati è stato anche ribadito dal Garante della Privacy: “I datori di lavoro devono astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, anche attraverso specifiche richieste al singolo lavoratore o indagini non consentite, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa”.
“La finalità di prevenzione dalla diffusione del Coronavirus – specifica il Garante – deve infatti essere svolta da soggetti che istituzionalmente esercitano queste funzioni in modo qualificato. L’accertamento e la raccolta di informazioni relative ai sintomi tipici del Coronavirus e alle informazioni sui recenti spostamenti di ogni individuo spettano agli operatori sanitari e al sistema attivato dalla Protezione Civile, che sono gli organi deputati a garantire il rispetto delle regole di sanità pubblica recentemente adottate”.
Inoltre, ferme restando tutte le possibilità messe a disposizione da Governo e Regioni, come ad esempio quelle previste dalla Direttiva 1/2020 per la Pubblica Amministrazione, occorre monitorare le azioni che l’azienda intenda intraprendere, quali telelavoro, smart working, cassa integrazione e altre e, nel caso di lavoratore contagiato, ovviamente la malattia. Tutte condizioni che però non ricadono in termini economici su lavoratori e lavoratrici.
Serve anche una maggiore attenzione nei confronti di eventuali iniziative estemporanee di alcune imprese che dispongano discrezionalmente a lavoratori e lavoratrici non contagiati l’adozione di misure quali messa in libertà, messa in ferie, permesso o richiesta di farsi mettere in malattia dal medico, omettendo di specificare che in questo caso la decisione organizzativa è dell’azienda e facendo ricadere – con colpa – tale decisione sul lavoratore, contravvenendo così il disposto dell’articolo 15 comma 2 del D.Lgs. 81/2008 (“Le misure relative alla sicurezza, all’igiene e alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori”).
Federico Bellono
Rocco Pellegrino
Camera del Lavoro – Torino
(aggiornato al 3 marzo 2020)
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