A 50 anni dalla sua promulgazione, lo Statuto dei lavoratori non va superato, come qualcuno dice, ma al massimo integrato e reinterpretato, perché – se siamo all’altezza – è ancora in grado di fornire soluzioni e ispirare riforme adeguate a nuove problematiche.
È il motivo per cui, nel 50esimo anniversario della sua emanazione, è ancora utile la sua pubblicazione e diffusione, nella speranza che favorisca una riflessione politica che guardi al senso di allora dello Statuto e, soprattutto, al suo valore attuale. Con la convinzione che l’apprezzamento verso il passato debba tradursi in significati politici per il futuro.
Molte delle singole norme che lo compongono forse sono invecchiate, altre sono state cambiate: lo Statuto non è più quello di un tempo, ma in realtà i principi che lo sostanziano sono di rango costituzionale e, giustamente, hanno avuto eco a livello internazionale, sino a giungere nella Costituzione europea.
Siamo convinti che tali principi che, allora, lo Statuto fece entrare dai cancelli della fabbrica, siano ancora la piattaforma dei diritti fondamentali civili e sociali della persona.
Il valore e la fiducia in questi principi furono oggetto di condivisione da parte dei protagonisti di allora, da Brodolini a Donat-Cattin, che concluse l’opera del ministro Brodolini.
Ricordarli ora non ha solo un valore evocativo. La sfida di oggi è applicare quell’idea di diritti fondamentali in un contesto molto più diversificato e più complicato, che quindi non abbia paura delle diversità esistenti nel mondo del lavoro, ma articoli le tutele e anche gli interventi di promozione in rapporto alle diverse modalità con cui il lavoro si manifesta.
Se non lo facessimo, tradiremmo lo stesso obiettivo dello Statuto, che era appunto quello di sostenere e promuovere il lavoro secondo le proprie caratteristiche.
Enzo Lavolta
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