È iniziato il 13 novembre 2024 nella maxi aula 1 del Tribunale di Torino il processo d’appello «Eternit Bis», che vede imputato il magnate svizzero dell’Eternit Stephan Schmidheiny.
Presenti in aula i rappresentanti della parti civili Sicurezza e Lavoro e Afeva, oltre agli avvocati dei sindacati, degli altri enti coinvolti e delle vittime.
In primo grado erano stati contestati a Schmidheiny 392 reati di omicidio volontario, commessi sia in danno di lavoratori dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato (Alessandria) che della popolazione delle aree limitrofe.
L’imputato è stato condannato il 7 giugno 2023 a 12 anni di reclusione in primo grado dalla Corte d’Assise di Novara per 147 omicidi colposi, aggravati dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il processo d’appello si è aperto di fronte alla Corte d’Assise d’Appello di Torino con la relazione della presidente Cristina Domaneschi, che ha ripercorso lo svolgimento del processo in primo grado, per poi dare la parola ai procuratori Sara Panelli, Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare.
La relazione ha ripercorso i passaggi fondamentali della sentenza di primo grado con cui era stata ricostruita la massiccia esposizione all’amianto di lavoratori e cittadini, sia all’interno che all’esterno dello stabilimento di Casale Monferrato (che si estendeva per 96 mila metri quadrati), mettendo in evidenza anche quelle parti della pronuncia che riguardavano la diffusione di materiali in amianto all’interno delle abitazioni di cittadini. Ciò aveva causato centinaia di casi di mesotelioma pleurico, una grave forma tumorale, che può avere una latenza convenzionale (dalla prima esposizione alla manifestazione della malattia) molto lunga: fino a 48 anni.
Nella relazione la presidente ha anche ricordato che la pronuncia di primo grado ha ritenuto che la condotta dell’imputato fu tenuta – «nella piena consapevolezza della nocività dell’amianto» per la popolazione e senza predisporre i necessari investimenti per evitare l’inquinamento.
Il magnate svizzero è accusato per la «continuativa e massiva immissione di fibre di amianto» nell’ambiente, anche a causa del trasporto della materia prima effettuata in città e della pre-frantumazione degli scarti di amianto che avveniva all’aperto, con rifiuti che arrivavano anche da altri stabilimenti italiani, con il «consapevole e voluto risultato che le fibre di amianto continuassero a disperdersi» nell’ambiente. Portando a una «diffusione incontrollata di patologie di cui si conosceva la gravità».
Stephan Schmidheiny è anche accusato di una «prolungata opera di disinformazione» nella comunità, per evitare che la collettività avesse consapevolezza della gravità della situazione.
«La relazione della presidente della Corte d’Assise d’Appello di Torino Cristina Domaneschi è stata molto chiara – dichiara Massimiliano Quirico, direttore di Sicurezza e Lavoro – e ha evidenziato gli aspetti fondamentali della sentenza di primo grado concernenti le gravi responsabilità dell’Eternit e di Stephan Schmidheiny, che tanti lutti hanno causato e continuano ancora a causare a distanza di decenni».
«Tornare a Torino – aggiunge Quirico – nella stessa aula in cui nel 2009, quindici anni fa, si tenne la prima udienza del primo maxi processo Eternit, finito poi in prescrizione, è doloroso. Ci auguriamo che finalmente ora possa esserci giustizia per le vittime dell’amianto nel processo Eternit bis, che vede come parte civile anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, a cui in primo grado è stata riconosciuta una provvisionale di 30 milioni di euro. Sarebbe un segnale forte, sia per le migliaia di vittime dell’amianto e i loro cari, che da troppo tempo attendono giustizia, sia per dare nuovo impulso alle bonifiche dell’amianto, ancora drammaticamente indietro in Italia».
Nelle prossime udienze – fissate per mercoledì 20 e 27 novembre e 4, 11 e 18 dicembre 2024 – proseguirà la discussione dei rappresentati della pubblica accusa e poi interverranno le parti civili, tra le quali l’associazione Sicurezza e Lavoro. Sarà poi la volta della difesa degli imputati, che dovrà sostenere le ragioni del proprio atto di impugnazione con cui viene chiesta l’assoluzione dell’imputato.
Loredana Polito
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