Il 17 novembre 2017, insieme ai lavoratori degli Ispettorati del lavoro di Torino, Vercelli e Cuneo, ho partecipato al presidio organizzato da Cgil, Cisl e Uil davanti alla Prefettura di Torino. Analoghe manifestazione si sono svolte in tutte le province italiane.
Nel nostro Paese sono occupati oltre 2 milioni di lavoratrici e lavoratori in nero, senza tutele e senza diritti, con nuove forme di “catene” non visibili, ma certamente lesive di libertà e dignità.
Il fenomeno del caporalato, seppur affrontato con una serie di norme che hanno irrigidito le sanzioni nei confronti dei trasgressori, continua infatti a essere un modo per recepire manodopera a basso costo, approfittando della disperazione di uomini e donne che antepongono la necessità di lavorare anche solo per mettere insieme il pranzo con la cena, a discapito dell’incolumità.
Secondo l’ultima relazione annuale Inail, nel 2016 sono state 642mila le denunce di infortunio e 618 gli infortuni mortali “accertati” sul lavoro (su 1.104 denunce di infortunio con esito mortale), mentre le denunce di malattie professionali sono state 60mila (1.300 in più rispetto al 2015, con un aumento del 30% rispetto al 2012), considerando solo i dati forniti dall’Inail, che – come è noto – sono parziali ed escludono una larga platea di lavoratori. L’evasione fiscale produce poi un ammanco di bilancio pubblico di 130 miliardi di euro. Numeri che dovrebbero scatenare immediatamente un’attenzione nuova e meno distratta rispetto a quanto avvenuto in questi anni.
Abbiamo creduto in questa parte del Jobs Act in cui la creazione della Agenzia Unica per le ispezioni, oggi INL, avrebbe dovuto ottimizzare le situazioni esistenti, prendendo il meglio da ciascun ente. Complice la scelta di portare a compimento una riforma così importante a costo zero, oggi i risultati negativi sono evidenti e qualcuno vorrebbe far fallire questo tentativo.
L’approdo all’Ispettorato Nazionale del lavoro, peraltro, si muove in una logica che supera i confini del nostro Paese, indirizzato dal Parlamento Europeo che ne ha promosso la creazione come perno per lo sviluppo di un’economia occupazionale più moderna e sicura, sulla sponda di quanto realizzato già da altri Paesi.
Una riforma che qualcuno aveva provato a definire “epocale” e che oggi non trova neppure le risorse per il cambio delle targhette sulle 83 sedi esistenti.
Le rivendicazioni ascoltate nei presidi di protesta e riportate ai Prefetti di tutto il Paese mirano a migliorare il nuovo soggetto, nato ormai da oltre due anni.
Un progetto in cui il ministro Poletti e il Governo hanno creduto molto, una parte del Jobs Act che richiede evidentemente un intervento perché altrimenti un’idea condivisibile rischia di tramutarsi in un fallimento.
Nel passaggio della legge di stabilità alla Camera trasformerò queste richieste in emendamenti puntuali che possano dare attuazione finalmente a un’Agenzia funzionante attraverso lo sblocco di risorse e non tagli, come previsto dall’attuale testo.
Non dimentichiamo poi che ogni infortunio sul lavoro, oltre che essere una sconfitta per un Paese civile, si trasforma in spesa sanitaria e contribuisce ad aumentare il buco di bilancio. Ragioni sufficienti a porre doverosa attenzione – fino a oggi mancata – a un provvedimento virtuoso, che rischia di trasformarsi in un vero e proprio disastro, a cui occorre rimediare prima che sia troppo tardi.
on. Antonio Boccuzzi
Comm. Lavoro Camera dei Deputati