La crescente domanda di tecnologia danneggerà o incrementerà l’occupazione? Secondo l’indagine dell’Osservatorio Statistico dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, presentata alla fine di settembre 2017 al Festival del Lavoro di Torino, l’impatto della tecnologia digitale non avrà effetti devastanti sul mercato del lavoro, anche se – necessariamente – richiederà un adeguamento delle competenze da parte di lavoratori e lavoratrici.
Il processo di automazione del lavoro produce effetti anche in Italia e causa la riduzione della domanda di alcune specifiche competenze, ma, al tempo stesso, genera la crescita della richiesta di altre figure professionali, non sempre disponibili sul mercato. Oltre all’innovazione tecnologica, influiscono comunque il ruolo dei mercati globali, la produttività, il costo del lavoro, l’ambiente e i processi di riorganizzazione dei sistemi produttivi.
La ricerca analizza i dati dei volumi di lavoro attivati negli ultimi cinque anni, dal 2012 al 2016, confrontando le “unità di lavoro attivate” (Ulat) con le “unità di lavoro cessate” (Ulac) ed evidenziando i cambiamenti in termini di competenze (alte, medie e non qualificate) e figure professionali in calo e in aumento nelle varie Regioni d’Italia.
Nell’ultimo quinquennio, il saldo delle prime dieci professioni altamente qualificate più richieste dalle imprese (le cosiddette “vincenti”) è di +141,6 mila dipendenti, mentre le prime dieci professioni altamente qualificate che sono entrate in crisi (le “perdenti”) hanno bruciato 180 mila posti di lavoro. Anche se occorre tenere conto che in questo segmento di specializzazione si è affermata una modalità di lavoro autonoma che amplia il numero di figure professionali vincenti.
Il dato ovviamente varia a seconda del territorio. Alcune regioni del Sud (Sicilia, Puglia e Sardegna) si caratterizzano per una vocazione nelle professioni sanitarie riabilitative, mentre in Toscana crescono i tecnici del marketing (+1,6 mila) e diminuiscono i bancari (-2,7 mila). La Lombardia, invece, aumentano analisti e progettisti di software (+10,2 mila), mentre sono in crisi i segretari amministrativi (-8,2 mila).
Secondo l’Osservatorio Statistico, in Italia, queste sono le prime 10 professioni “vincenti”, ovvero i profili altamente qualificati più richiesti dalle imprese:
- analisti e progettisti di software (+22,9 mila);
- disegnatori industriali (+20,4 mila);
- professioni sanitarie riabilitative (+18,9 mila);
- tecnici programmatori (+14,1 mila);
- tecnici esperti in applicazioni (+13,8 mila);
- maestri d’asilo (+12,5 mila);
- tecnici del reinserimento e dell’integrazione sociale (+11,8 mila);
- specialisti nell’educazione dei soggetti diversamente abili (+9,6 mila);
- tecnici del marketing (+9,4 mila);
- specialisti nei rapporti con il mercato (+8,1 mila).
Le 10 professioni “perdenti” nelle imprese private italiane, ovvero le professioni ad alta qualifica più in crisi, sono:
- segretari amministrativi, archivisti e tecnici degli affari generali (-42,4 mila);
- contabili (-30,9 mila);
- tecnici statistici (-25,4 mila);
- tecnici del lavoro bancario (-16 mila);
- tecnici gestori di reti e sistemi telematici (-15,2 mila);
- istruttori di tecniche in campo artistico (-13,8 mila);
- tecnici per trasmissione radio-televisiva e telecomunicazioni (-10,9 mila);
- ricercatori e tecnici laureati in scienze della vita e della salute (-9,8 mila);
- istruttori in discipline sportive (-8,8 mila);
- tecnici del trasferimento e del trattamento delle informazioni (-6,9 mila).
Ma cosa renda vincente una professione?
Secondo l’indagine, i maggiori fattori di successo delle professioni sono legati a capacità che non possono essere sostituite dalle macchine e che rispondono alla domanda di personalizzazione dei servizi, come la persistenza in presenza di ostacoli, la capacità di usare internet, in particolare la posta elettronica, e la creatività e l’originalità nel progettare e nell’individuare soluzioni.
Decisiva appare la capacità di non fermarsi di fronte alla prima difficoltà e di persistere nella ricerca e nell’individuazione di una soluzione. Tale capacità, infatti, è determinante per 28 professioni vincenti, tra le quali quelle di specialisti nei rapporti con il mercato, tecnici di gestione dei fattori produttivi, professori, fisioterapisti, programmatori, personale addetto a compiti di controllo e verifica, ma anche badanti e assistenti socio-sanitari che seguono persone con disabilità. L’intelligenza emotiva (capacità di relazione, problem solving e adattabilità) è una competenza trasversale valutata come determinante per quasi l’82% di chi svolge le prime 50 professioni vincenti.
Un altro aspetto rilevante, che riguarda il 44% di chi svolge le 50 professioni vincenti, sono la creatività e l’originalità nel progettare nuovi servizi e prodotti e nel far fronte ai problemi che emergono dal lavoro, mentre queste qualità non sono richieste al restante 56%, costituito esclusivamente da unità di lavoro che esercitano professioni mediamente non qualificate.
La competitività nell’ambiente di lavoro è invece una caratteristica marginale per le professioni vincenti: solo il 28,4% delle unità di lavoro la ritiene importante.
Oggi, la chiave del successo dell’impresa non è più – come in passato – la competizione spinta, ma la partecipazione collaborativa di lavoratori e lavoratrici. Viene richiesta la capacità di lavorare in gruppo e valorizzare l’apporto dei colleghi, e non la competitività con i colleghi.
Infine, il rapporto spiega come i cambiamenti tecnologici in corso possano determinare nuove opportunità se si mettono in campo politiche in grado di innescare un ciclo virtuoso che, partendo dal capitale umano, siano in grado di generare innovazione, produttività e aumento della domanda. Ostacolano invece lo sviluppo del lavoro gli inadeguati investimenti in innovazione, ricerca, sviluppo, formazione continua e welfare aziendale.
Eliana Puccio