Presentati il 24 gennaio 2018 al Senato, a Roma, i risultati del Primo Rapporto sul welfare aziendale, realizzato dal Censis – Centro Studi Investimenti Sociali insieme alla società Eudaimon di Vercelli, con il contributo di Banca Credem, Edison e Michelin.
Il documento è diviso in cinque capitoli:
- quadro reale del settore oggi e in prospettiva;
- punto di vista dei lavoratori;
- profilo di imprese e lavoratori;
- rischio downgrading: da pilastro del welfare a mercato di benefit indifferenziati;
- sfide e soluzioni possibili.
Tanti annunci, ma ancora poca concretezza
Il Rapporto prende spunto dalla fiscalità favorevole per il welfare nelle imprese – introdotta dalla Legge di Bilancio 2016 – che sta suscitando grande interesse. Al momento però – spiega il testo – sono più gli annunci di interventi che quelli reali, ma ci si attende un decollo. In prospettiva, il valore di servizi e prestazioni del welfare aziendale – se esteso a tutti i lavoratori del settore privato – è stimato in 21 miliardi di euro. Intesi sia come contributi diretti messi in campo dall’azienda (spese per fondi sanitari integrativi, servizi per i minori, spese scolastiche, ecc.) che come risparmi in acquisto di beni e servizi direttamente dai fornitori, grazie ad agevolazioni e sconti ottenuti dall’impresa.
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I lavoratori sanno che benefici hanno?
È necessario però un maggior coinvolgimento di lavoratori e lavoratrici: solo il 17,9% ha una conoscenza precisa del welfare aziendale, il 58,5% per grandi linee, il 23,6% non sa cosa sia.
Chi vuole più welfare? I più ricchi o chi ha figli piccoli
Di fronte alla possibilità di trasformare quote premiali della retribuzione in prestazioni di welfare, il 58,7% del personale si dichiara favorevole, il 23,5% contrario e il 17,8% non ha un’opinione in merito. Il dato va però analizzato con attenzione: i maggiormente favorevoli, infatti, sono coloro che hanno già retribuzioni sopra la media: i dirigenti e i quadri (73,6%) e quelli con redditi familiari medio-alti (62,2%)! A questi si aggiunge chi ha figli fino a 3 anni (68,2%) e quindi potrebbe trarne specifici benefici e concreti risparmi, anche a fronte di servizi pubblici per l’infanzia sempre più carenti.
Le prestazioni più richieste
Tra i servizi più desiderati prevalgono quelli relativi a salute e sanità (53,8% dei lavoratori), seguiti da previdenza integrativa (33,3%), buoni pasto e mensa aziendale (31,5%), trasporto da casa a lavoro (ad esempio, abbonamento per i trasporti pubblici: 23,9%), convenzione per acquisti convenienti presso negozi e buoni acquisto (21,3%), asilo nido, campus, centri vacanze, rimborsi per le spese scolastiche dei figli (20,5%).
Le aziende italiane
Per quanto riguarda le imprese, il Rapporto sottolinea come – in una realtà come quella italiana fatta soprattutto di micro e piccole aziende – il welfare aziendale debba andare “oltre se stesso”, diventando una componente del welfare territoriale, di comunità, contemperando così la sostenibilità economica con il contributo alla creazione di valore economico e sociale a livello locale.
La fame di soldi
Ovviamente, però, il documento spiega anche che il welfare in azienda non può essere la risposta alla “fame” arretrata di reddito, forte soprattutto tra operai e chi svolge compiti esecutivi e manuali: ovvero coloro che hanno visto il proprio potere di acquisto diminuire sempre di più negli ultimi anni.
Il rischio downgrading
L’indagine sottolinea inoltre il rischio di “declassare” (downgrading) il settore del welfare aziendale, riducendolo a una mera moltiplicazione indifferenziata di benefit, attrattivi nell’immediato, ma non in grado di alleviare lavoratori e lavoratrici dal peso delle incombenze familiari o di restituire loro tutele e sicurezze o di integrare e colmare i vuoti del welfare pubblico.
Le sfide del welfare
Affinché il welfare aziendale abbia successo – ribadisce il Rapporto – servono una maggiore informazione su prestazioni e servizi offerti e più attenzione e tutele verso chi ha redditi bassi ed è in difficoltà, anche per contenere e ridurre le disuguaglianze retributive generate dal mercato del lavoro.
Occorre poi una personalizzazione delle proposte, con un’offerta ampia e articolata, basata su aspettative ed esigenze reali.
Infine, nel frammentato mondo imprenditoriale italiano, serve promuovere aggregazioni territoriali o interaziendali, andando oltre la singola dimensione aziendale e confrontandosi con il territorio e la comunità locale.
Solo così il welfare aziendale diventa un indicatore di grande modernità nella gestione delle imprese, in grado di orientare verso rapporti cooperativi piuttosto che conflittuali e di contribuire a rafforzare la comunità aziendale.
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La sintesi del Rapporto 2018
È possibile scaricare qui una sintesi del Primo Rapporto sul welfare aziendale (24 gennaio 2018).
È prevista una presentazione del Rapporto anche a Milano, lunedì 5 febbraio 2018, dalle 10 alle 13, al centro Copernico Isola for S32, in via Filippo Sassetti 32, nel Fintech District. Partecipazione gratuita.
Loredana Polito
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