L’Italia ha davvero urgente bisogno di una maggiore flessibilità del lavoro, come molti sostengono? Davvero la flessibilità può aumentare l’occupazione, stimolare l’economia e accrescere la competitività del Bel Paese?
Il professor Luciano Gallino, nel suo libro “Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità”, edito da Laterza (173pp, [amazon_link asins=’8842088757′ template=’PriceLink’ store=’siclavoro-21′ marketplace=’IT’ link_id=’166c4d6f-1422-11e8-b49b-5337f0de4fe7′]), analizza la particolare situazione del mercato del lavoro in Italia, dove – sostiene – la flessibilità viene per lo più intesa come facilitazione dei licenziamenti o diffusione di contratti brevi, talmente brevi da rendere superfluo il licenziamento.
Intanto per capire se la flessibilità possa favorire l’occupazione (oltre che le aziende) – osserva l’autore – è necessario distinguere tra il numero di occupati e quello di ore lavorate, ma comunque secondo l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, in inglese Oecd) non sembra sussistere alcuna relazione positiva, empiricamente fondata, tra livello di flessibilità e volume totale dell’occupazione (Employment Outlook 2004). Così come non sembra che facilitare i licenziamenti incrementi l’occupazione.
Gallino poi spiega che la diffusione dei contratti a termine rischia di avere effetti negativi sulla produttività: oltre allo scarso interesse dell’azienda a investire nella formazione di lavoratori e lavoratrici a termine, chi sta per “scadere” facilmente sarà maggiormente impegnato nella ricerca di un nuovo impiego, piuttosto che nel massimizzare la resa in quello attuale…
Dopo la de-mercificazione del lavoro – che in Italia ha toccato il punto più alto con lo Statuto dei lavoratori (legge n°. 300 del 1970) – si rischia ora una ri-mercificazione, che non tiene più conto di dignità, competenze, relazioni familiari e prospettive future di chi presta la propria opera.
“Deregolare – afferma lo scrittore – significa far girare all’indietro l’orologio della storia del lavoro, in modo da ritornare ai tempi in cui questo veniva venduto dall’individuo all’impresa come qualsiasi altra merce”. Ma “il lavoro non è una merce”, come recita il primo comma della Dichiarazione di Filadelfia del 10 maggio 1944 sugli scopi e gli obiettivi dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL, in inglese ILO). O almeno… non dovrebbe esserlo. Per non passare dalla flessibilità del lavoro… alla precarietà della vita. Con tutti i costi umani e sociali che ciò comporta.
Per un’altra riflessione su flessibilità e precariato in Italia, segnaliamo il libro di Marta Fana intitolato “Non è lavoro, è sfruttamento”, anch’esso edito da Laterza, nella collana Tempi Nuovi (ottobre 2017, 173 pp, [amazon_link asins=’8858129261′ template=’PriceLink’ store=’siclavoro-21′ marketplace=’IT’ link_id=’eaa24855-0836-11e8-b310-edb044b8b2f3′]), già recensito da Sicurezza e Lavoro.
Loredana Polito
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