In vista della ricorrenza dell’8 marzo, Giornata internazionale della Donna, il Gruppo Tecnico Salute e sicurezza sul lavoro della Camera del Lavoro di Torino ha approfondito il tema dei rischi di genere, poi illustrato nel convegno del 7 marzo 2018 “Che genere di salute e sicurezza?”, promosso in collaborazione con Sicurezza e Lavoro.
Un argomento trascurato il lavoro femminile, che resta solitamente confinato in una dimensione penalizzante, in cui il livello dei rischi a carico delle donne viene sottovalutato e le differenze tra uomo e donna non sono ancora sufficientemente riconosciute.
Sebbene una legislazione – certo non esaustiva – faccia esplicito riferimento, ad esempio nell’articolo 28 del decreto legislativo 81/2008, ai rischi connessi alle differenze di genere, generalmente manca la capacità di coniugare la valutazione del rischio con le tematiche di genere.
A parte la tutela della maternità, difficilmente la norma si traduce, nella pratica, in effettive tutele di salute e sicurezza basate sul genere. Si assiste spesso a una pretesa di uguaglianza che non tiene conto delle differenze biologiche o socio-ambientali nei diversi aspetti della valutazione del rischio: i metodi di valutazione, le conoscenze dei rischi e gli effetti per la salute si basano su popolazioni lavorative astratte, su soggetti standard e si realizzano attraverso una semplificazione che non corrisponde alla complessità della realtà.
La percezione e valutazione dei rischi di genere
Per garantire a entrambi i generi piena dignità e reali pari opportunità occorrerebbe, invece, intervenire con strumenti che possano intercettare le diversità e i bisogni di genere.
In questo contesto, per conseguire il benessere psico-fisico di cui parla la norma, siamo partiti dalla percezione dei rischi di genere da parte dei RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) e dal concreto approccio sotto il profilo della valutazione del rischio.
Il ragionamento sulla percezione è partito dal coinvolgimento di una quarantina di RLS, di diverse categorie, di altrettante aziende della provincia di Torino. A loro è stato fatto compilare un questionario per analizzare ciò che viene fatto in tema di rischi di genere nella propria realtà lavorativa e scoprire le difficoltà che incontrano.
È stato quindi attivato un focus group, in cui un’altra decina di RLS si è confrontata su questi argomenti.
Il quadro che è emerso dipinge una realtà in cui il 70% dei RLS opera in un’azienda il cui documento di valutazione dei rischi (DVR) non contempla i rischi di genere e, nei casi in cui questa valutazione sia presente, tratta prevalentemente della tutela della gravidanza e della maternità o dei differenti pesi che uomini e donne possono sollevare nella movimentazione manuale dei carichi.
Il 90% dei partecipanti al questionario afferma di non aver mai neanche richiesto una valutazione dei rischi di genere a causa – nel 50% dei casi – di una scarsa conoscenza della materia.
Le richieste e le difficoltà dei RLS
Tra i fattori necessari per promuovere la valutazione dei rischi di genere, i RLS individuano, oltre a una maggiore formazione di genere, un maggior dialogo con le lavoratrici (anche perché ci sono settori in cui, nonostante una presenza maggioritaria di donne, i RLS sono uomini) oppure, ancora, più dati sulle attività femminili, soprattutto in quei settori in cui le attività che coinvolgono uomini o donne sono completamente diversificate.
Per quanto riguarda la percezione dei rischi di genere, nella maggior parte dei casi i RLS riconoscono che uomini e donne sono esposti a rischi differenti e possono rispondere in maniera differente rispetto alla stessa esposizione al rischio, facendo riferimento, da un lato, a lavori e mansioni diverse e, dall’altro, alle diverse reazioni psicofisiche (con una particolare attenzione, in realtà, più nei confronti delle differenze fisiche e della gravidanza che alla condizione socio-culturale).
Il 75% dei RLS afferma, inoltre, che – nell’ottica delle differenze di genere – esistono condizioni organizzative che producono ricadute negative, in particolare su orari di lavoro, turnazioni e difficoltà a conciliare la vita lavorativa con quella privata, in un’organizzazione del lavoro che considera le lavoratrici e i lavoratori, come dice un RLS, “quasi come androgini”.
Allo stesso modo, l’80% degli RLS risponde affermativamente alla domanda se la diversità di ruoli sociali e di carichi conseguenti possa avere, più o meno indirettamente, un’influenza sull’esposizione a rischi lavorativi, facendo riferimento allo stress legato alle responsabilità familiari.
Dall’analisi dei questionari emerge chiaramente la difficoltà di inserire il ragionamento sui rischi di genere nella pratica dell’elaborazione del documento di valutazione dei rischi: si evidenzia una percezione abbastanza precisa dei rischi di genere, che però si contrappone a una mancanza di azioni conseguenti. Anche laddove i rischi vengono genericamente individuati, non sono però poi inseriti all’interno del DVR!
Il datore di lavoro
Ci sono anche difficoltà nel confronto con il datore di lavoro. Dal questionario risulta che, nella maggior parte dei casi, il datore non sappia cosa siano i rischi di genere o coniughi, a una reticenza in tema di sicurezza, la volontà di spendere il meno possibile e di non entrare effettivamente nel merito di ciò che prevede la legge.
Nei casi studiati, si evidenziano due modalità prevalenti con cui vengono affrontati i rischi di genere:
- La maggior parte dei datori di lavoro non se ne occupa, limitandosi alla tutela della maternità, trattando in modo neutro uomo e donna e – come scrive un RLS nei suoi commenti – applicando politiche e procedure che, con scelte di tipo apparentemente neutro, possono invece produrre effetti indesiderati di non equità tra donne e uomini, ad esempio negli orari di lavoro.
- In alcuni casi, invece, si evidenziano ricadute organizzative, che però hanno come conseguenza l’esclusione delle donne dai ruoli operativi, con conseguenze negative sulla carriera lavorativa. Le donne hanno, infatti, per usare le parole di un RLS, “collocazioni più semplici, un ambiente meno complicato e carichi di lavoro meno impattanti”: in questo tipo di realtà lavorativa ci si scontra quindi con la problematica di proteggere senza discriminare.
Gli aspetti socio-culturali
Un altro aspetto critico riguarda il fatto che sia più facile, nel rapporto con il datore di lavoro, ancorarsi a tematiche di carattere fisico, mentre è più difficile agire sugli aspetti socio-culturali.
La tendenza a privilegiare gli aspetti fisici è uno scoglio da superare anche da parte dei RLS: nonostante la maggior parte dei RLS riconosca che esistono rischi connessi alle differenze di genere – sia dal punto di vista biologico che psico-fisico e socio-culturale – l’attenzione viene posta principalmente (in oltre il 90% dei casi) alla valutazione del rischio della donna in gravidanza, mentre meno del 60% crede di dover considerare la lavoratrice in condizioni “normali”!
La rappresentatività femminile
Un’ulteriore criticità riguarda il fatto che le donne non sono sufficientemente rappresentate nei processi decisionali riguardanti la salute e la sicurezza sul lavoro, a ogni livello. Ciò sarebbe dovuto in particolare a fattori culturali: ci sono minori partecipazione e coinvolgimento alla valutazione e analisi dei rischi, anche perché meno donne ricoprono ruoli decisionali e organizzativi.
Le questioni da approfondire
Dal confronto con i RLS sono emersi poi aspetti che richiederebbero un maggiore approfondimento: ad esempio, appare più facile il ragionamento su violenze, molestie sessuali e mobbing, che vengono individuati come fattori maggiormente legati al genere femminile, mentre meno immediato è il considerare le differenze di genere in tema di infortuni e malattie professionali.
Allo stesso modo, sarebbe utile una riflessione sulla necessità di tenere conto delle differenze di genere nella scelta dei DPI (dispositivi di protezione individuale), che dovrebbero avere caratteristiche tecniche ed ergonomiche, sia di protezione che di adattabilità, adatte alla persona che li indossa.
Un altro aspetto poco conosciuto e che difficilmente rientra nella valutazione del rischio (solo un quarto dei RLS lo ha preso in considerazione) riguarda l’invecchiamento della popolazione femminile, che viene valutato quasi esclusivamente in relazione alla movimentazione manuale dei carichi.
Questi sono alcune delle questioni emerse dal confronto con 50 RLS, dalle quali è possibile partire per avviare un percorso che fornisca a RLS e datori di lavoro gli strumenti per mettere in pratica l’articolo 28 del decreto 81/2008 e, quindi, per considerare le differenze di genere centrali nella valutazione del rischio.
Sarah Pantò
Gruppo Tecnio RLS
Camera del Lavoro di Torino
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